Le mie parole

La brace sotto la cenere
(Ant. 1000  Parole -Ed. Montecovello -2012)
  
Le ombre proiettate dal fuoco sulle pareti muovono fantasmi fugaci e questo lungo e freddo inverno penetra nelle ossa ormai non più avvezze. La giovane fiamma che arde nel camino, potente e arrogante, è ancora troppo poco per riscaldare i nostri corpi resi deboli dal tempo. Su un divano, di fronte a quell'unica sorgente di calore improvvisata che questa serata ci può regalare ci stringiamo ricercando l'un l'altro un piacevole tepore.
Serata strana, per certi versi ancestrale, sicuramente inattesa.
Soli, al buio e senza nessuna altra fonte di energia, con l'acqua fuori che diventa pietra e la natura che ammutolisce nella notte gelida restiamo così, ad ammirare quasi ipnotizzati, il sinuoso movimento della fiamma che prende vigore e le faville che fuggono veloci verso il cielo. Rannicchiata come una bimba impaurita aggrappata a una coperta, baluardo di un intimo calore, la mia compagna e io accanto. Condividiamo quel lembo di tessuto come abbiamo fatto mille altre volte, dentro un letto o davanti a un televisore, ma questo momento ha ben altro sapore. La forzata vicinanza, la temperatura, orfani di ogni qualsivoglia interesse che non sia cercare un rassicurante tepore, ci riporta a uno stato primitivo, lontano. Una sensazione persa nello scorrere degli anni, tanti, che abbiamo condiviso e affrontato e che ci hanno visto sempre vicini. Anni non semplici in alcuni casi, frivoli e leggeri in altri.
Ormai siamo parte l'uno dell'altro e i decenni trascorsi insieme ci hanno resi solidali, fusi, compenetrati.
La guardo sorridendo preoccupandomi delle sue sensazioni: mi sorride e mi si avvolge intorno. Sembriamo due bimbi che giocano, di un gioco inconsueto e non più consono, ma proprio per questo sorprendente.
Riaffiorano nella memoria altre situazioni, vissute in tempi in cui la ricerca dell'altro aveva radici più passionali. Il ricordo di una sera in auto sotto una fitta nevicata, complice e amica, dove la passione ci rese caldi al punto da non avvertire il freddo intenso che i finestrini innevati non riuscivano a trattenere. Tempi in cui un'automobile poteva ancora essere un'alcova, dove appartarsi da sguardi indiscreti era già di per sé trasgressione. Tempi in cui il solo guardarsi era prologo di guerre di corpi e di gesti in cui il desiderio era costante e martellante presenza, incurante dei rischi e delle morali. Tempi in cui il bisogno dell'altro si scioglieva in un abbraccio eterno e non terminava con l'orgasmo, ma che anzi si ravvivava con nuovo passionale ardore.
Mi osserva, con occhi vivi come allora a dispetto dell'incurvatura che l'età ha dato loro, ma con un ardore che è lo stesso di allora. Si stringe ancor di più e affondo il viso tra i capelli che sanno di buono, così come di buono ha sempre profumato la sua pelle.
Ci sorprendiamo nel rivivere sensazioni non solite per persone della nostra età, più esperte a sentimenti verso figli ormai grandi e nipotini. Dimentichiamo a che punto della vita ci troviamo per sprofondare in emozioni ormai ritenute perse.
Mi sussurra di quella nostra prima strana volta in cui, presa dalla più cieca passione cadde dal letto. Ridiamo di quel momento ma riaffiora prepotente il desiderio di riviverlo in questa sera che ci regala un'intimità che credevamo scomparsa. Le mani cercano quel corpo non più giovane e segnato da una vita, lo cercano senza alcuna inibizione. Il seno ancora grande e morbido, come allora materno e sensuale, dolce e provocante. Gli occhi ardono come quelli della giovane donna che conobbi allora, desiderosi e curiosi, provocanti e sognanti.
La fiamma si è fatta imponente e marca i contorni, i particolari risaltano e le pupille divengono roghi che ci avvolgono, niente altro può distrarre la nostra attenzione.
Ci riscopriamo irresistibilmente attratti e i gesti assecondano le sensazioni. Mani che divengono tentacoli che cercano senza alcuna remora, che riscoprono antichi percorsi con ferrea memoria, che sanno ciò che devono fare e come. Ormai in preda al più primordiale desiderio non vogliamo neppure provare a opporci. Attimi infiniti in cui gli anni anagrafici non hanno più alcun valore, attimi che ci riportano a una adolescente e disinibita passione. La frenesia di dita che desiderose e indiscrete affondano e afferrano l'altrui sorgente del piacere. Ritmi concitati di corpi rinvigoriti, movimenti quasi violenti e carichi di una passione cieca a cui ogni singolo muscolo obbedisce in uno scatto d'orgoglio prendono il posto dell'immobilità. Sinfonia monotonica che due vecchi strumenti sanno ancora instancabilmente interpretare come all'apice del successo, melodie che si intrecciano l'un l'altra in una carnale ouverture.
Un grido di piacere simultaneo, troppo a lungo trattenuto e ormai dimenticato ritorna protagonista, un urlo liberatorio che ci fonde in una sola essenza e che fa sentire vivi come quando facevamo di un'automobile il nido del nostro piacere o di un letto l'arena dove combatterci. Un suono celestiale che rinvigorisce l'anima e vibra sulla pelle come un'eco incessante. Fremiti dimenticati, brividi che la polvere del tempo aveva ricoperto sotto la fitta coltre dei giorni, arroganti ritornano reclamando attenzione. Restiamo immobili, con il fiato corto come quando, risvegliandoci dalla più convulsa passione, gli occhi si cercavano appagati. Sfiorare con la punta delle dita quelle labbra affannate, quel viso lievemente sudato: sensazioni impagabili.
La fiamma morente ci avvolge nel suo fioco abbraccio e ci dona il suo ultimo sussulto.
L'oblio domina sui nostri corpi e sulle menti ancora confuse. Immobili restiamo avvolti l'un l'altro in un abbraccio che non vorremmo terminasse mai, quasi disperato, come a voler trattenere quest'ultimo scampolo di carnale piacere, felici per il dono inatteso che questo freddo e inusuale inverno ci ha regalato. Esausti ci abbandoniamo a un sonno che mai come questa notte sarà sereno e ristoratore.
Un ultimo sguardo alla fiamma nel camino ormai morente, a un tizzone ardente che sotto la cenere inerte si va spegnendo ma che ancora mantiene dentro di sé un'anima torrida a cui basterebbe un semplice arbusto per rinascere vitale un'ultima volta prima di perdere, per sempre, il suo intimo calore.

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